Numero 12.
ULULATI
DI GUERRA - Parte 8
di
Carlo Monni con l’amichevole consulenza
di Mickey
da un’idea di Andrea Garagiola
Di fronte al Consolato Generale della Federazione
Russa, Manhattan, New York City.
Me ne stavo seduto nella mia Porsche Carrera modificata ed aspettavo,
sentendomi un po’ stupido per la verità. Perché ero venuto sin qui? Cosa
speravo di ottenere?
Finalmente lei uscì. Non faticai a riconoscerla: Anna
Olegovna Derevkova non era cambiata molto dal nostro ultimo incontro circa 25
anni prima, era sempre una gran bella bella donna e per quanto mi riguardava
era ancora sexy anche se ormai si avvicinava alla cinquantina. Ufficialmente
era la responsabile della segreteria dell’ufficio visti del Consolato Generale
Russo ma io ero assolutamente convinto che fosse una copertura: Anya era ancora un’agente del S.V.R.[1]
e non poteva essere una coincidenza che avesse assunto il suo attuale incarico
tre giorni dopo che io e sua figlia, la famigerata Vedova Bianca, ci eravamo
quasi ammazzati a vicenda proprio qui a New York.[2]
Avviai
l’auto e mi affiancai a lei poi mi sporsi dal finestrino e dissi nel mio
migliore Russo:
-Ciao Anya.-
Lei
si girò verso di me e dopo un attimo di perplessità mi rivolse un sorriso
esclamando:
-Kolya,[3]
sei proprio tu?-
-Conosci qualcun altro bello come me?- ribattei
sorridendo a mia volta.-
Lei
fece una risata argentina e replicò:
-Non sei cambiato affatto, Kolya, e non sembri
invecchiato di un giorno.-
-Nemmeno tu Anya..
-Eh, magari fosse vero ma lo specchio e la bilancia
non la pensano così. Allora, Kolya, come mai sei qui?-
-Ho saputo che eri a New York ed ho pensato che
sarebbe stato carino invitarti a cena.-
Lei
mi guardò con un sorrisetto ironico ed infine replicò:
-Perché no? In ricordo dei vecchi tempi e perché
detesto mangiare da sola.-
Mi
sporsi ad aprirle lo sportello e lei salì a bordo accanto a me aggiustandosi
pudicamente la gonna per poi allacciarsi la cintura di sicurezza.
-Avete l’obbligo anche in Russia?- chiesi in tono
semiserio.
-Ci hai preso per un paese arretrato?- replicò Anya
nello stesso tono -Siamo la seconda potenza mondiale.-
-O la terza, dipende a chi lo chiedi: i cinesi….-.
-I cinesi si danno troppe arie... ma non parliamo di
questo adesso. Dove hai prenotato?-
-Cosa ti fa pensare che io lo abbia già fatto?
-Nikolai Yakovievitch…- ribatté lei sorridendo ed
usando la versione russificata del mio nome -… quando mai hai contemplato un no
come risposta?-
Sospirai
e risposi:
-Al Russian Tea Room alle otto.-
-Ma è nella 57° Ovest! Ce la faremo ad arrivare in
tempo col traffico che c’è a quest’ora?-
-Il traffico non è un problema, credimi.- replicai con
sorrisetto.
Premetti
un pulsante sul cruscotto e subito le ruote assunsero un assetto orizzontale
mentre l’auto si sollevava da terra.
Anya
sembrava decisamente eccitata mentre esclamava:
-Come dite voi americani: wow!-
Ambasciata del Regno Unito, 3100, Massachusetts Avenue,
Washington D.C. Dieci ore prima.
Daniel Whitehall era un uomo dell’apparente età di 35/40 anni,
elegante, dal portamento aristocratico, i capelli brizzolati ed occhiali con
montatura di tartaruga. Indossava un
completo grigio realizzato su misura a Savile Row, la famosa via di sartorie
per uomini di Mayfair a Londra. Ufficialmente nell’Ambasciata era di Terzo
Segretario della sezione affari commerciali ma era solo una copertura per il
suo vero incarico: quello di responsabile del Mi6[4] negli Stati Uniti.
Nella
sua veste di funzionario più alto in grado del MI6 in terra statunitense
Whitehall stava collaborando ad un inedito sforzo comune dei principali servizi
segreti mondiali contro la minaccia della sinistra organizzazione terroristica
di ispirazione nazista nota come Hydra, il che era ironico perché Daniel
Whitehall era segretamente un agente proprio dell’Hydra.[5] Per usare un vecchio modo
di dire: la volpe era stata posta a guardia del pollaio.
Whitehall
chiuse la sua ventiquattrore e se l’assicurò al polso poi si rivolse alla sua
segreteria:
-Vado alla riunione,
Miss Reynolds. Per qualunque emergenza può raggiungermi nel solito modo.-
-Va bene, signore.-
Un ‘auto l’attendeva fuori
dall’edificio e lui salì nel sedile posteriore e fece cenno all’autista di
andare. Assicuratosi che l’auto fosse completamente schermata da qualsiasi tipo
di intercettazioni prese un palmare ed attivò un collegamento.
-Ho ordini per te,
Bravo.- disse.
<<Finalmente.>>
replicò l’uomo il cui volto era apparso sullo schermo <<Cominciavo ad
annoiarmi.>>
Sede della sezione Stati Uniti dello S.H.I.E.L.D. a
Washington D.C., un’ora più tardi. Al
mio arrivo l’Agente Margaret Huff, una bella rossa dagli occhi verdi sui
trent’anni, mi accolse con un sorriso decisamente cordiale che ricambiai con
sincerità.
-Il
Direttore Bridge la sta aspettando, Agente Juniper. Può entrare.-
-Grazie
Agente Huff.- risposi.
-Chiamami
Margaret… e chiamami quando vuoi.-
Sorrisi. Faccio spesso quest’effetto
alle donne. Sarà la mia aria da ingenuo e bravo ragazzo di campagna… che in fondo
è quello che sono… o meglio: che ero prima che un proiettile tedesco mi
uccidesse in Germania nel 1942. Perplessi? Confusi? No, non sono un fantasma,
se è questo che state pensando, ma non è adesso il momento delle spiegazioni,
abbiate pazienza.
Entrai nella spaziosa sala riunioni
dove si trovavano cinque uomini e quattro donne. A capotavola stava George
Washington Bridge, un afroamericano, come si dice oggi, alto quasi due metri
col fisico da culturista e barba e capelli bianchi dal taglio militare. Doveva
avere una sessantina d’anni e da quel che mi avevano raccontato della sua
carriera prima ancora di unirsi allo S.H.I.E.L.D. doveva essere un tipo da
prendere con le molle. Stava guardando dei file al computer, una di quelle cose
di quest’era moderna a cui io mi stavo abituando faticosamente, ed al mio
ingresso sollevo il capo salutandomi con un breve cenno ed invitandomi a
sedermi.
Alla sua sinistra era seduta una giovane donna bionda con
l’uniforme dello S.H.I.E.L.D., il Comandante Laura Brown, capo della squadra di
cui facevo parte. Alla destra stava una donna dai capelli neri e corti più o
meno della stessa età di Laura che indossava un tailleur beige: era Maria Hill,
Vice Direttore del F.B.S.A. e capo della Divisione Risorse Superumane di quell’agenzia.
Gli altri mi furono rapidamente presentati: Philip Corrigan
della Divisione Antiterrorismo del F.B.I., Daniel Whitehall del MI6 britannico,
rigido come ci si poteva aspettare da un inglese; Charles Dalton della C.I.A, più o meno sui quaranta, dai capelli castani,
vestito di nero con gli occhiali e l’aria tipica del burocrate; Gabrielle
Delatour, una giovane donna attraente dai lunghi capelli castani, agente del
D.G.S.E.;[6] il Tenente Colonnello
Anna Nikolaievna Amasova, una donna bionda che indossava
l’uniforme delle Forze Aerospaziali Russe ufficialmente Addetto Militare dell’Ambasciata russa, ma in realtà rezident[7] del G.R.U.[8]
negli Stati Uniti; Ling Kwai, un cinese dai baffi alla mongola vestito all’occidentale con un impeccabile
completo blu, ufficialmente addetto del
Consolato Generale della Repubblica Popolare Cinese a New York ma in realtà
agente del Ministero per la Sicurezza di Stato della suddetta Repubblica
Popolare.
Da quel che avevo capito di come funzionavano le
cose nel mondo negli ultimi anni, una simile collaborazione tra i servizi
segreti e di sicurezza delle cinque nazioni più importanti del globo era a dir
poco insolita e testimoniava la gravità della situazione.
Dopo avermi presentato,
Bridge disse:
-L’Agente Juniper si è occupato della faccenda dei cloni fin dall’inizio
e potrà ragguagliarvi sulla vicenda.-
-In realtà non c’è molto da dire.- esordii -Credo che conosciate già la
storia, forse anche molto bene.-
Il mio sguardo si soffermò
sul Colonnello Amasova che rimase impassibile.
-Se non sbaglio…- disse Gabrielle Delatour con un accento francese che
sulle sue labbra suonava decisamente sexy -… tutta la faccenda dei cloni nasce
da un vecchio progetto nazista.-
-Più o meno.- replicai -L’Hydra ne era ovviamente a conoscenza e l’ha
fatto proprio.-
Evitai di menzionare il
fatto che i Russi lo avevano riattivato per primi e se l’erano poi fatto
soffiare, dopotutto ora erano dalla nostra parte. Guardai ancora una volta
verso il Colonnello Amasova e lei piegò appena un labbro. Un cenno di
approvazione forse? Difficile capirlo. Decisi di proseguire e non pensarci
troppo.
-Ci
sono novità dai nostri amichetti dell’Hydra?-
chiesi in tono fintamente allegro.
-Nulla,
per ora.- rispose Bridge -E questo mi preoccupa un po’.-
-La
quiete prima della tempesta, capisco.- replicai in tono più serio.
-Esattamente.
Sono convinto che stanno tramando qualcosa e spero che quando scopriremo cosa
non sia ormai troppo tardi.-
-Lo
speriamo tutti.- commentò l’agente cinese.
Non potevo essere più d’accordo.
Palazzo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite, Turtle Bay, Manhattan, New York City, 11 del mattino ora della Costa
Orientale.
Il Comitato di Controllo sulle Risorse Speciali di
Mantenimento della Pace era un organo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite composto da tre uomini e due donne ciascuno in rappresentanza di uno dei
cinque paesi membri permanenti del Consiglio stesso. Il suo compito era
vigilare sulle attività dello S.H.I.E.L.D., dello S.W.O.R.D. e di supergruppi
come i Vendicatori, e gli X-Men. Per evitare possibili conflitti, ciascuno dei
membri del comitato esercitava a rotazione la funzione di Presidente. Quella
settimana era il turno della rappresentante francese Michelle Deveraux, folti
capelli bianchi e penetranti occhi azzurri appena nascosti da occhiali con
montatura di tartaruga, ex giudice della Corte Internazionale di Giustizia.
-Benvenuto Direttore Fury.-
mi salutò con apparente cordialità -Siamo ansiosi di sentire cosa ha da dirci.-
Erano disposti ad emiciclo. Madame
Deveraux sedeva ovviamente al centro, alla sua destra sedeva il delegato
americano Everett K. Ross,, alla sua sinistra c’era il rappresentante russo
Viktor Vassilievitch Komarev. Alle ali estreme sedevano rispettivamente il
delegato cinese Wu Tong e quella britannica, la Baronessa Croft di Wickenham.
Erano tutte vecchie volpi della diplomazia e del servizio pubblico delle
rispettive nazioni ed io ovviamente sapevo tutto di loro, comprese certe cose
che avrebbero preferito tenere segrete anche ai loro governi.
Li salutai a mia volta e mi sedetti
ad un tavolo davanti a loro.
-Come
di certo ha immaginato, Colonnello …- proseguì lea Deveraux -… desideriamo
essere aggiornati sui suoi progressi nella faccenda dell’Hydra.-
-Non
ho molto da dire.- replicai -Dopo aver cercato di liberare i gemelli Strucker[9]
l’Hydra se ne è stata quieta.-
-Suppongo
che sarebbe troppo sperare che abbiano deciso di cessare le loro operazioni,
vero?- chiese Ross, un tipo bizzarro ma più in gamba di quanto potesse
sembrare.
-Non
con il Barone Strucker saldo al comando.- ribattei -Si stanno leccando le
ferite dopo che abbiamo scoperto il loro complotto dei cloni ma presto torneranno
al contrattacco, è solo questione di tempo.-
-Siete
sicuri di aver smascherato tutti i cloni infiltrati dall’Hydra?- chiese Lady
Croft.
La grande domanda. Cosa avrei dovuto
rispondere? Optai per una mezza verità:
-Abbiamo
controllato tutto il personale dello S.H.I.E.L.D., dello S.W.O.R.D. e delle
Nazioni Unite ma non possiamo ancora essere certi che non ci siano cloni
infiltrati negli organismi governativi delle varie nazioni del mondo.-
Komarev mi fissava preoccupato.
Ovviamente sapeva che tutto era iniziato come una massiccia operazione di
infiltrazione del servizio segreto militare russo che l’Hydra aveva a sua volta
infiltrato ampliandola, ma il Governo russo non l’avrebbe mai ammesso
pubblicamente ed io non ci tenevo a smascherarlo. Tempo fa la Federazione russa
si era ritirata dallo S.H.I.E.L.D. ma ora aveva cambiato idea ed io non
intendevo certo complicare le trattative in corso.
Espirai e guardai ancora i cinque
delegati e fermai lo sguardo su quello cinese dicendo:
-Non
ho chiesto questo incontro solo per aggiornarvi sulle mie indagini ma perché
uno di voi potrebbe aiutarci, non è vero, Compagno Wu?-
Per tutta risposta, Wu Tong estrasse una pistola e
mi sparò.
Sede della sezione Stati Uniti dello S.H.I.E.L.D. a
Washington D.C., tarda mattinata. Laura
Brown mi fissò dritto negli occhi e mi chiese:
-Che
ne pensi, Jon?-
Laura era tecnicamente era un mio
superiore ma non me lo faceva mai pesare e gliene ero grato. Era una donna in
gamba ed il fatto che fosse anche una bella ragazza: bionda, le curve giuste al
posto giusto e due profondi occhi azzurri non guastava affatto anche se a volte
mi rendeva difficile concentrarmi sul lavoro… come adesso.
-Hai
sentito cosa ti ho chiesto?- insistette.
-Cosa?-
risposi risvegliandomi dalle mie fantasticherie -Certo ma… cosa penso di che?-
-Dei
nostri cosiddetti alleati ovviamente.-
Non ci pensai troppo su e risposi:
-Beh…
il tizio della C.I.A. mi è sembrato più attento a pararsi il sedere… scusa
l’espressione.-
-Sono
una ragazza del ventesimo secolo, Jon, ne sento di molto peggio tutti i
giorni.- replicò lei con un sogghigno.
-Ma
io sono ancora un ragazzo di campagna degli anni 40. Mi hanno insegnato a non
usare un certo linguaggio in presenza di una signora.-
-Un
po’ vecchio stile ma lo apprezzo. Vai avanti.-
-La
francesina gioca con lo stereotipo della bambola sexy ma ho la sensazione che
sia più dura dell’acciaio quando serve. La russa sembra un blocco di ghiaccio
ma ha qualcosa di inquietante. L’inglese è sempre tranquillo e pacato ma credo
sappia il fatto suo. Il cinese è un tipo pericoloso. Di tutti possiamo fidarci
finché i loro interessi coincideranno con i nostri.-
-E
cioè quasi mai. Ottima analisi, Jon.-
-Beh…
grazie. C’è una sola eccezione direi: il tizio del F.B.I., Corrigan, giusto?-
-Sì,
sono d’accordo, ma ora smettiamola di parlare di lavoro, direi che possiamo
prenderci una pausa. Ti va un caffè?-
-Perché
no? Ma non alla macchinetta del corridoio. C’è un posto qui vicino dove fanno
del vero espresso italiano… offro io naturalmente.-
-Naturalmente.-
replicò lei facendo l’occhiolino.
Dopotutto non era poi una brutta
giornata.
Palazzo del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, Turtle Bay, Manhattan, New York City, quasi
nello stesso momento. Il guaio coi diplomatici è che con la scusa della loro
immunità nessuno li può controllare o perquisire quando vanno da qualche parte.
Wu Tong si era portato dietro una pistola Tipo 54, versione cinese della
Tokarev TT-33, presumibilmente caricata con proiettili 7,62x25 mm come la sua
controparte russa, e mi sparò tre colpi in rapida successione
Io, naturalmente, mi
aspettavo qualcosa del genere e fui rapido a gettarmi a terra, al riparo del
tavolo di solida quercia mentre contemporaneamente estraevo la mia pistola ma
non osai sparare perché gli altri membri del Consiglio erano ancora sulla linea
di tiro.
Wu ne approfittò ed afferrò
Lady Croft per il collo e la usò come scudo umano mentre cercava di guadagnare
l’uscita.
-Non ce la farai mai Wu.- gli dissi -Ti conviene
arrenderti.-
-Se provi a fermarmi la ammazzo!- replicò lui con la
pistola puntata alla testa della nobildonna britannica.
Valutai
la situazione: era un tiro difficile ma non impossibile. Potevo centrarlo alla
fronte o ad un occhio ma se nello spasmo della morte il suo dito si fosse
contratto sul grilletto ed avesse fatto partire il colpo? La testa di Amelia
Croft avrebbe fatto la fine di un melone preso a martellate. Non potevo correre
il rischio.
Decisi di uscire allo
scoperto ed avanzati lentamente verso di lui che continuava ad indietreggiare
verso la porta sempre facendosi scudo dell’ostaggio.
Everett Ross si era gettato
a terra assieme agli altri improvvisamente gettò qualcosa che colpì Wu alla
tempia. Lui allentò la presa su Lady Croft ed io urlai:
-Giù!-
Lei
si abbassò ed io sparai. Colpito in piena fronte Wu Tong cadde all’indietro. La
sua pistola sparò ma il proiettile finì nel soffitto.
Riposi
l’arma nella fondina ed aiutai Lady Croft a rialzarsi.
-Tutto bene; Milady?- le chiesi.
Lei
fece un sorriso un po’ forzato e rispose:
-Tutto a posto ma… mi si è sgualcita la gonna… e può
chiamarmi Amelia se vuole.-
Sorrisi
e replicai:
-Perché no?-
Ross
raccolse qualcosa da terra e sfoggiò un sorriso amaro.
-La mia pallina antistress.- disse -Non pensavo di
usarla così.-
Komarev
si avvicinò, guardò il cadavere a terra e mi chiese:
-Come facevi, Nicholas, a sapere che quello non era il
vero Wu Tong ma un suo clone?-
Feci un sogghigno e risposi:
-Vi abbiamo sottoposti tutti ad un controllino
discreto.-
-Lo sai che sarebbe illegale, vero?- replicò lui con
un sorrisetto.
-Puoi denunciarmi, se vuoi.-
-Io direi che, viste le circostanze, possiamo anche
passarci sopra…- intervenne Michelle Deveraux, ma che non si ripeta,
Colonnello.-
-Ai suoi ordini, Madame.- replicai -Ora scusatemi ma
adesso ci sono un po’ di formalità da sbrigare a causa di quel che è successo e
vorrei fare in fretta: stasera ho un appuntamento a cui non vorrei fare tardi.-
Upper
West Side, Manhattan, New York City, la stessa sera. Il posto era un
condominio di lusso in Central Park West ed i suoi residenti appartenevano al
cosiddetto jet set della Grande Mela.
La donna che uscì da
uno degli ascensori che davano nell’atrio era decisamente di classe: capelli
neri raccolti sulla nuca con una ciocca bianca che le dava un tono particolare,
alta, slanciata, fisico tonico degno di una modella, gambe lunghissime che
uscivano da un abito rosso cortissimo che sembrava esserle stato disegnato addosso
e che terminavano in scarpe di marca con tacco 12 non passava di certo
inosservata ed era così che le piaceva.
Discendente da famiglie
aristocratiche francesi ed italiane la Contessa Valentina Allegra De La
Fontaine aveva scelto un’occupazione particolare, era infatti un’agente dello
S.H.I.E.L.D. e non un’agente qualunque bensì uno dei Vice Direttori Esecutivi,
la numero tre della gerarchia. I maligni sostenevano che avesse raggiunto quel
posto per meriti che nulla avevano a che fare con le sue capacita lavorative.
Lei non se ne curava, sapeva quanto valeva e questa era la sola cosa importante
o almeno così diceva.
Di sicuro era
pienamente consapevole della sua bellezza e del suo sex appeal e sia sul lavoro
che nella vita privata amava vestirsi in modo sexy e provocante, cosa che non
mancava di attirare gli sguardi, spesso di approvazione e talvolta di
disapprovazione, da parte di uomini e donne.
Il portiere la salutò
con un largo sorriso.
-Contessa, non sapevo che fosse qui.-
-Mi sono concessa una pausa, Frank.- rispose
lei ricambiando il sorriso -Ultimamente ho passato un periodo frenetico ma
ovviamente non posso dirti di più, se lo facessi, poi dovrei ucciderti.-
Il
portiere rise garbatamente alla battuta… o almeno sperò che fosse una battuta…
e chiese:
-Non prende la Lamborghini stasera?-
-Sto aspettando una limousine e credo che sia
arrivata.-
Di
fronte all’ingresso si era infatti fermata una classica Lincoln Town Car il cui
autista era sceso e teneva aperto lo sportello della zona passeggeri.
Valentina
salutò il portiere che la osservò uscire senza staccare gli occhi dal suo
fondoschiena pensando che chiunque fosse colui che l’aspettava era uomo
fortunato. Se anche se ne accorse, Valentina non lo dette a vedere. Salì
sull’auto che si staccò subito dal marciapiede e si immise nel traffico serale.
Quasi
immediatamente un’altra auto si mise sulla sua scia.
Tavern on the Green, Central Park, New York City, mezz’ora
dopo.
La serata
di giugno era calda abbastanza perché diversi avventori preferissero cenare
all’aperto, sotto la veranda ed era qui che un uomo sui quarant’anni,
elegantemente vestito, capelli nerissimi e corti, carnagione olivastri sedeva
sorseggiando un aperitivo.
Finalmente la sua
pazienza fu premiata ed entrò la donna che stava aspettando: elegante ed altera
come si conviene ad una nobildonna britannica anche se era solo una Pari a Vita
e non ereditaria. Il marito era un Conte ereditario invece ed era morto alcuni
anni prima durante una sfortunata spedizione archeologica lasciandola con due
figlie ed un’eredità che al netto delle tasse di successione era un discreto
gruzzoletto.
Si alzò galantemente al
suo arrivo scostando una sedia dal tavolo e dicendo:
-È un piacere rivederla, Sua Signoria.-
-Mi scusi del ritardo, Mr. Bakshi-
replicò lei -C’è stato un… contrattempo alle Nazioni Unite e sono stata
impegnata sino a poco fa.-
-Una vera Signora deve sempre farsi attendere,
Lady Croft.-
-Come sempre lei è molto galante, Mr. Bakshi. Il
suo invito a cena è stato veramente inaspettato ma molto gradito e le rose
erano bellissime.-
-Ne sono lieto e sono lieto che il mio invito
sia arrivato al momento giusto.-
L’uomo
sorrise. Il nome sul suo passaporto era Sunil
Bakshi, cittadino britannico di nascita ma appartenente ad una famiglia
braminica del Punjab, il cui nonno era emigrato nella parte indiana di
quell’antico stato subito dopo la sua partizione tra India e Pakistan nel 1947.
Vent’anni dopo suo padre era emigrato nel Regno Unito e lì era nato lui. Aveva
frequentato le migliori scuole del Regno e dopo essersi laureato a pieni voti
aveva cominciato una promettente carriera come consulente finanziario per un
fondo di investimento internazionale: l’Echidna Group. Una biografia impeccabile
ma assolutamente falsa, elaborata dall’Hydra per celare l’identità di uno dei
suoi migliori operativi clandestini dell’Hydra il cui nome in codice era Bravo.
L’agente in questione sorrise alla
donna seduta davanti a lui. Certe missioni sono più piacevoli di altre, pensò,
ma finiscono quasi tutte con qualcuno morto.
Appartamento di Jonathan “Junior” Juniper, Georgetown,
Washington D.C., tarda serata.
Era già ora di cena abbondante e mi trovavo davanti all’atroce dilemma se
riscaldare una porzione di fettuccine congelate, chiamare il take away cinese
all’angolo o la pizzeria di Sal quando suonò il campanello.
Poiché quasi nessuno conosceva il mio indirizzo e non
aspettavo visite, prima di andare alla porta presi la pistola. Come ho già
detto, sono già morto una volta, ricordavo benissimo l’esperienza e non ci
tenevo a ripeterla.
Quello che vidi attraverso lo spioncino mi rassicurò
decisamente. Aprii la porta sfoderando il mio migliore sorriso.-
-Spero
che ti piaccia la pizza col salamino piccante perché la Quattro Stagioni è
mia.- disse Laura Brown entrando a passo di marcia.
-Non
c’è problema.- dissi scostandomi -La adoro.-
La osservai mentre deponeva i cartoni
delle pizze su un tavolino. Al posto della classica divisa dello S.H.I.E.L.D.
con cui l’avevo sempre vista finora indossava una camicetta rossa con i primi
tre bottoni slacciati, cosa che mi aveva permesso di capire che sotto portava
intimo di pizzo nero, una gonna scura attillata alta appena sopra al ginocchio
e scarpe con tacchi a spillo, il trucco era appena accennato, qualcosa sotto
gli occhi ed un rossetto rosso brillante sulle labbra.
So cosa state pensando. Ok, lo ammetto:
avevo una cotta per lei e allora? Da quel che ne sapevo, lei era la ragazza del
mio vecchio amico Nick Fury ed io non faccio certe cose alle spalle degli
amici.
Laura sistemò sul tavolo delle
bottiglie e sorrise.
-Avevo
pensato di prendere solo le birre…- disse -… poi ho pensato che sei un ragazzo
morigerato ed ho preso anche due lattine di Coca Cola.-
-La
birra va benissimo.- replicai, poi le chiesi -Come mai sei qui? Voglio dire…-
-Anche
le bionde da infarto hanno le loro serate no…- ribatté Laura -… e questa non ci
tenevo affatto a passarla da sola.-
-E
se… uhm… ci fosse stato qualcuno con me?-
-Non
ci sarebbero stati problemi: mi vanno bene i ménage a trois.-
Spalancai la bocca e lei scoppiò a
ridere.
-Scherzavo!-
disse in tono divertito -Dovresti vedere la faccia che hai fatto.-
Feci una risata un po’ impacciata.
-Devi
considerarmi un po’ stupido.- dissi.
-No,
solo adorabilmente retrò. Su, adesso: attacchiamo le pizze prima che si
raffreddino.-
Eravamo più o meno arrivati a metà
delle pizze, in fondo ad una bottiglia di birra, il tutto inframezzato da
chiacchiere varie, quando il telefono di Laura squillò.
-Maledetto
lavoro.- borbottò -Non ti lascia mai in pace.-
Rispose ed ascoltò poi esclamò:
-Cosa?
Arrivo subito.-
-Che
succede?- chiesi preoccupato dall’espressione sul suo viso.
-Guai.-
rispose Laura -Guai grossi.-
Da
qualche parte negli Stati Uniti. La stanza era immersa nella penombra, a parte
una piccola zona illuminata da un faretto posto sul soffitto. Al centro della
zona illuminata c’era un uomo legato ad una sedia e circondato da uomini in
piedi che indossavano le famigerate divise dell’Hydra, con tanto di cappuccio a
parte uno che era a capo scoperto.
L’uomo
legato alla sedia era completamente nudo, sui capezzoli e sui testicoli erano
stati applicati degli elettrodi, le braccia erano disarticolate e sulle gambe
aveva evidenti segni di fratture. La testa era reclinata e lui non stava dando
segni di vita. La vescica e lo sfintere avevano ceduto ed ormai l’odore nella
stanza stava diventando decisamente insopportabile anche con i filtri dell’aria
al lavoro.
-Non ci dirà più
niente.- affermò uno degli agenti dell’Hydra.
-Non è ancora detto.-
replicò quello a capo scoperto -Non ha ancora raggiunto il punto di rottura.
Lasciamogli qualche minuto di riposo poi ricominciamo.-
-Non reggerà ad un
altro trattamento. - disse un terzo agente.
-Tanto peggio! Se
saremo fortunati gli avremo strappato altre preziose informazioni, altrimenti
avremo risparmiato il costo di una pallottola.-
Improvvisamente la porta della
stanza si spalancò ed entrò una donna afroamericana dell’apparente età di
venticinque anni, pettinatura in stile afro, occhiali neri sul naso, giubbotto
di pelle verde con ampie spalline, minigonna nera come gli stivali che le
arrivavano al ginocchio. Nella destra aveva una pistola Sig Sauer P226 armata con proiettili 9x19
parabellum e fornita di silenziatore.
-Ma cosa…?- esclamò quello senza cappuccio.
Senza dar
loro tempo di abbozzare una difesa, la donna sparò in rapida successione
abbattendoli uno dopo l’altro poi si avvicinò all’uomo legato. Lui alzò la
testa, la fissò e la riconobbe.
-Mi sono fatto sorprendere come un idiota.- disse a fatica.
-Capita.- replicò lei filosoficamente
-Io ho… resistito quanto ho potuto ma…-
-Nessuno può resistere per sempre, lo so, dovevo arrivare
prima.-
-Non è colpa tua.-
-Adesso…-
Lui provò
a scuotere il capo e la cosa gli provocò un gemito di dolore. Articolando a
fatica le parole disse:
-Nelle mie condizioni non posso seguirti, tu non puoi
portarmi via da sola e non puoi nemmeno lasciarmi qui. Sai quello che devi
fare.-
-Sì, lo so.- replicò lei con un velo di tristezza nella
voce.
Un attimo
dopo sollevò la pistola e gli sparò un colpo in fronte poi si girò ed uscì
dalla stanza. Percorse un corridoio dove giacevano i cadaveri di altri agenti
dell’Hydra. Uscì all’aperto lasciandosi alle spalle quella che altro non era
che una piccola fattoria in aperta campagna e parlando ad un laringofono disse:
-Qui Agente 22. Credo che la copertura del soggetto J sia
ormai compromessa. Occorre agire in fretta. Mi sto recando sul posto.-
Chiusa la
comunicazione la donna salì a bordo di una Lotus Elise nera
che in pochi istanti decollò. La donna premette un pulsante su un telecomando e
la fattoria fu avvolta da una nuvola di fuoco.
Russian Tea Room, 57° Strada Ovest,
Manhattan, New York City, più o meno alla stessa ora. Eravamo seduti l’uno di fronte all’altra,
Anya ed io e ci stavamo studiando come possono farlo due che sono stati amanti
venticinque anni prima ed ora cercano di capire quanto siano cambiati.
La prima parte della
cena trascorse nella rievocazione dei vecchi tempi ed nelle solite, un po’
scontate, considerazioni su come le cose fossero cambiate da allora e non
necessariamente in meglio. Alla fine Anya posò le posate, mi fissò dritta nel
mio unico occhio sano e disse:
-Allora, Nicholas Joseph Fury, di cosa volevi veramente parlarmi?-
L’uso del mio nome completo
invece del vezzeggiativo russo era un chiaro indice che il tempo di scherzare
era finito.
-Ho incontrato tua figlia, pochi giorni fa, ma questo lo sapevi, vero,
Anna Olegovna?- risposi nello stesso tono.
Lei sospirò e poi
replicò:
-Ero al corrente della sua missione, sì. Non ero nella posizione di
oppormi anche se non ero entusiasta.-
-E perché mai? Dopotutto sapevi bene cosa fa di lavoro: è la Vedova Bianca, la migliore eliminatrice, burocratico eufemismo per assassina, del F.S.B.-[10]
-Finché svolgeva il suo lavoro contro i nemici della Rodina[11] non avevo molto da dire, anche se non ne ero entusiasta, ma questa missione l’avrebbe portata all’estero in un possibile e prevedibile conflitto con lo S.H.I.E.L.D… con te.-
-Avevi paura che io la uccidessi o che lei uccidesse me? Perché? Per amore dei vecchi tempi o per altro?-
Lei tacque ed io la incalzai:
-Il suo patronimico è Nikolaievna ma porta il tuo cognome e non quello del padre. Non sono stupido Anya.-
-Non l’ho mai pensato, Kolya.- replicò lei.
-Lei lo sa?-
-Non gliel’ho mai detto ma immagino che ad un certo punto abbia cominciato a sospettarlo.-
-Probabile: quando ci siamo scontrati ha evitato deliberatamente di uccidermi… ed io di uccidere lei del resto.-
-Dio ti ringrazio!-
-In seguito ho usato tutta la mia influenza per far annullare la sua missione qui e rispedirla in Russia senza danni.-
-Ma non c’è mai arrivata, è per questo che mi sono fatta mandare qui.-
-Che stai dicendo?- esclamai
-Che nostra figlia è scomparsa.-
Stavo per dire qualcosa quando il telefono squillò. Non potevo ignorarlo e risposi:
-Spero che sia qualcosa di veramente serio ed urgente, Dum Dum, o…-
Lui me lo disse e non c’erano dubbi: era urgente ed era pure molto serio, mortalmente serio.
Una suite della torre del Four Seasons
Hotel, Manhattan, New York City, appena venti minuti prima.
La donna giaceva sulla schiena sopra il letto. Era nuda e dalla sua nuca si
allargava una chiazza rossa. Un ‘altra chiazza si partiva da un foro nel petto
proprio nel solco tra i seni ed una terza da un altro in mezzo alla fronte.
L’avevano
colta di sorpresa perché sul comodino c’era una pistola che non aveva fatto in
tempo ad usare. L’assassino le era arrivato alle spalle mentre i era sdraiata
sul letto senza che lei sospettasse di niente e le aveva sparato alla nuca,
poi, giusto per andare sul sicuro, l’aveva girata sulla schiena e le aveva
sparato altre due volte.
La
Contessa Valentina Allegra De La Fontaine era morta… per la seconda volta in
una settimana.
CONTINUA
NOTE
DELL’AUTORE
Rieccoci di nuovo qui
a narrare le peripezie di Nick Fury e dei suoi agenti in difesa della sicurezza
del mondo dai piani dell’Hydra.
Questo è sostanzialmente un episodio
di passaggio che si raccorda con quanto è avvenuto in Capitan America #94/99 e
nel contempo apre nuovi scenari ma ne parleremo più a fondo nel prossimo
episodio dove non mancheranno l’azione e le sorprese.
Intanto, un po’ di note:
1)
Ma la Contessa non è in realtà un LMD?
Come può essere stata uccisa da una comune pistola? Abbiate pazienza e vi sarà
tutto spiegato.
2)
Daniel Whitehall, è stato creato
Jonathan Hickman & Stefano Caselli su Secret Warriors #11 datato febbraio
2010. La mia versione è un misto di quella dei fumetti e di quella vista nel
telefilm Agents of S.H.I.E.L.D.
3)
Charles Dalton è stato creato da Nick
Spencer & Luke Ross su Secret Avengers Vol. 2° #5 datato agosto 2013.
4)
Ling
Kwai: è stato creato da Doug Moench & Rudy Nebres su Deadly Hands of Kung
Fu Vol. 1° #12 datato giugno 1975. Non aveva un cognome e glielo ho dato io.
-_^
5)
Gabrielle Delatour è una mia creazione
originale.
6)
Gli spettatori della serie TV Agents of
S.H.I.E.L.D. saranno familiari con il nome Sunil Bakshi ma come avete visto, il
nostro è un po’ diverso -_^
7) Il comitato di Controllo dell’ONU su S.H.I.E.L.D. etc. è una
mia creazione ma almeno quattro su cinque dei suoi membri sono già apparsi in
storie Marvel e precisamente: l’americano Everett K. Ross è stato creato da
Christopher Priest & Joe Quesada & Mark Texeira su Black Panther Vol 3°
#1 datato novembre 1998, il russo Komarev da Chris Claremont & Jim Lee su
X-Men Vol. 1° #1 datato ottobre 1991, il cinese Wu Tong da Roy Thomas &
Barry Windsor-Smith su Avengers Vol. 1° #98 datato aprile 1972, la francese
Michelle Deveraux da Chris Claremont & John Romita Jr. su Uncanny X-Men
#200 datato dicembre 1985.
Nel prossimo episodio: chi è l’Agente 22? Chi è il Soggetto
J,? Chi ha sparato alla Contessa? Cosa vuole l’Agente Bravo? E tanto di piu.
Carlo
[1]Sluzhba Vneshney Razvedki, Servizio Informazioni dall’Estero.
[2] Come narrato su Capitan
America #94.
[3] Diminutivo di Nikolai in
Russo.
[4] Nome non ufficiale del
Secret Intelligence Service, l’organo di spionaggio all’estero del Regno Unito.
[5] Come sa già chi ha letto
Capitan America #99.
[6] Direction Générale de la Sécurité Extérieure, il servizio di spionaggio all’estero francese.
[7] Capo della sezione permanente in un paese straniero di uno dei servizi segreti russi.
[8] Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direzione Principale Informazioni, il servizio segreto militare russo.
[9] Nello scorso episodio.
[10]Federal'naya Sluzhba Bezopasnosti., il servizio di sicurezza interna della Federazione Russa.
[11] Patria in Russo.